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giovedì 10 febbraio 2011

Antiques

«Buongiorno signora, posso dare uno sguardo? Devo fare un regalo a mia madre e…» sorriso.
«Prego, prego! Faccia pure.»
La signora è gentile e disponibile, e anche un po’ impolverata. Perfetta per la parte.
Non sembra, ma entrare in un negozio di antiquariato sapendo per certo che non si acquisterà nulla richiede una determinata dose di faccia tosta. Non fosse altro che per quel campanello da suonare, che da subito presuppone un’interazione con chi nel negozio lavora.
La pietosa, piccola bugia del regalo alla mamma spalanca dunque le porte su quel mare di oggetti esposti tutti insieme ma provenienti ognuno da chissà quando. È proprio quello che serve oggi, perdersi un po’ nel passato di qualcuno mai conosciuto e mai esistito. Di teca in teca, di scaffale in ripiano, lei prende appunti con la mente e sul suo Moleskine, ben sapendo che la cosa può apparire strana, e di conseguenza pronta a sfoderare la scorta di gentilezza destinata alle grandi occasioni.
La sua penna traccia geroglifici che lei sola sarà in grado di decifrare, una volta a casa e al sicuro.

Cavalluccio marino, XX secolo.
Una pittoresca accozzaglia di smalti e lustrini fa bella mostra di sé, dritto e impettito, sul suo piedistallo tempestato di azzurr0. Il corpo è interamente dorato, le piccole pinne rilucono di verde e arancio. Gli occhi sono minuscoli rubini rossi, e danno alla creatura quel tocco di pessimo gusto che in un simile frangente non può che calzare a pennello. Si tratta dell’unico superstite tra gli esemplari di bomboniera del fastoso matrimonio Gotti-Baraldi, celebrato il 5 giugno 1905 e felicemente protrattosi fino alle ore nove del 20 dicembre 1948, momento in cui la seconda parte del binomio si accorse che la prima non si sarebbe più svegliata dal suo sonno notturno.

Alzata per torta, XX secolo.
Cristallo bruno, linee eleganti ed essenziali, dimensioni non troppo grandi. Perfetta per sostenere le deliziose torte, famose in tutto il quartiere, con cui gli ospiti del signor Alfredo accompagnavano il tè del pomeriggio, durante la seconda metà degli anni ’30. All’asserzione: «Squisita!» seguiva quasi sempre la domanda: «Posso chiedervi chi è il pasticcere?» Era questo il momento preferito dal signor Alfredo, il quale, assumendo una postura ben eretta, dichiarava che sia l’aspetto che il sapore del dolce erano sue responsabilità. Lo stupore non tardava mai a dipingersi sui volti dei fortunati fruitori della cremosa delizia, sebbene, ahimè, al piacere del palato si unisse subdolo un dubbio atroce sulla virilità del provetto pasticcere. Se il signor Alfredo si fosse deciso una buona volta a dichiararsi alla signorina Emma, tutti i dubbi sarebbero stati fugati, ed egli avrebbe potuto dedicarsi alla passione dolciaria senza che questo minasse la sua reputazione. Ma non lo fece mai.

Lampada con paralume in pietra saponaria rosa, XIX secolo.
Il portalampada è un fascio di giunchi delicati, che si attorcigliano morbidi lasciandosi sfuggire qui e là una fogliolina. Il paralume ricorda l’ombrello di una medusa, rosa. Uno degli oggetti più affascinanti dell’intera esposizione, la lampada creata nel 1898, ha avuto vita lunga e felice sulla maestosa scrivania in ebano del senatore R., illuminando centinaia di importantissime firme apposte su altrettanti importantissimi documenti. Grazie alla lampada, le firme del senatore R. si distinsero sempre per precisione e profusione di svolazzi.

Soldatini di legno, XX secolo.
Alti circa quaranta centimetri, presidiano lo scaffale più alto, a sinistra della porta. Sono in tre, dalle uniformi coloratissime, gli occhi attenti e i nasi tondi. La sciabola d’ordinanza infilata nel fodero secondo il Regolamento, tutti e tre prendono molto sul serio il loro compito di protettori dell’ordine e si mormora abbiano chiesto espressamente alla proprietaria del negozio di poter occupare la loro attuale posizione, che permette un’ottima visuale su chi si aggira tra i preziosi oggetti. Ognuno ricorda ancora gli anni tra il 1921 e il 1925, quando il loro numero era di gran lunga superiore, un vero reggimento, ai comandi del Generale Riccardo, impavido condottiero classe 1910.

Scatola in tartaruga con cameo, XIX secolo.
Il profilo del cameo poggia su velluto scuro, risaltando per grazia ed eleganza; la scatola è piccola e preziosa. Ha accompagnato la baronessa Tratti negli ultimi cinque anni della sua vita su questa terra, fungendo da custodia segreta e discreta alle sue pastiglie per la cura dell’argento, causa silente e strisciante del malessere che doveva condurla per mano alla tomba. Le cerniere del piccolo scrigno hanno dato prova di incrollabile resistenza, rispondendo sempre a dovere alle sollecitazioni della baronessa: tre volte al giorno, dopo i pasti principali. Gli svenimenti della donna, la cui insorgenza era stata erroneamente attribuita al decesso dell’adorato barboncino diciassettenne, si erano di lì a poco distinti per frequenza. Un crescente stato di debolezza le aveva reso impossibile alzarsi dal letto e condurre una vita normale. Il suo ultimo, lucidissimo pensiero era andato alla sua scatola di tartaruga, o meglio, al contenuto: «…e sarebbero questi i portentosi benefici della cura…?»

Ragno e Scarabeo fossilizzati in Ambra, XIX secolo.
Rossiccio il ragno, verde smeraldo e ricco di bagliori lo scarabeo, sembrano lì da ieri. Perfettamente conservati in una goccia di ambra trasparente. Il dottor Krun, esimio entomologo di origini macedoni, aveva da solo deciso che per il primo fosse giunto il momento di smetterla con la caccia alle mosche, e che il secondo avesse svolazzato per i prati a sufficienza. Sicuro in cuor suo di compiere un gesto encomiabile, aveva racchiuso i due gioielli in una scatolina di velluto per regalarli alla cara Anne, nel giorno precedente alle loro nozze. La poveretta non era riuscita a trattenere un garbato urlo di terrore, e il grave malore preteso l’indomani aveva lasciato il dottor Krun solo e impalato davanti all’altare, a chiedersi dove avesse sbagliato.  

mercoledì 2 febbraio 2011

9 novembre 1943


«Papà, stanno arrivando!
Li sentiamo sulla via, sono arrabbiati e sembrano in tanti. La mamma dice di stare giù e zitte, io ho perfino paura che sentano il rumore del lapis sulla carta! Rumore di vetri rotti e lamenti di paura. Ho paura anch’io. Scusami la calligrafia brutta, ma è buio e tremo per il freddo. Non lo so, dove ci porteranno. Spero che troverai questo biglietto. La mamma piange sotto voce e tiene gli occhi chiusi forte.
Si avvicinano.
Un bacio d’infinito amore, papà. Chissà se un giorno ci rivedremo!

Ti lascio le chiavi al solito posto.

Libera»